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Il tragico e la pietà

Il tragico e la pietà

Per «comprendere l’incomprensibile del XX secolo» – i milioni di morti delle due guerre mondiali e lo sterminio del popolo ebraico nei campi nazisti – serve, a giudizio di Michel Serres, un modello «antropologico e tragico» come quello elaborato da René Girard. Esso è incentrato sul carattere mimetico, cioè imitativo, del desiderio – un processo da cui derivano sia la trasmissione del sapere sia la violenza – e sul nesso che lega in modo inscindibile il sacro alla logica arcaica del sacrificio e al ruolo del «capro espiatorio». Sul filo che interseca il tragico e la pietà si svolge il discorso con il quale Serres accoglie l’amico Girard tra gli eletti dell’Accademia di Francia. Girard, a sua volta, secondo la tradizione della storica istituzione, fa il suo esordio ricordando il suo immediato predecessore defunto. È il domenicano Ambroise-Marie Carré, celebre predicatore che negli anni della guerra aveva svolto un ruolo importante nella resistenza ai nazisti. Girard si sofferma sul dramma spirituale che ha accompagnato la sua vita: una profonda e intensa esperienza mistica, avvenuta alla precoce età di quattordici anni, orienta tutte le sue scelte ma, nonostante le attese, non si ripeterà più generando un irrequieto senso di fallimento personale. A padre Carré serve tempo per comprendere che l’ambizione e l’orgoglio rischiano di travolgere la grazia e per convertire il suo progetto di santità in una resa alla misericordia divina.

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