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Fin dal II secolo d.C. i barbari avevano iniziato a premere sui confini dell'impero romano, nel quadro delle loro migrazioni dall'Europa orientale, e i Goti furono i protagonisti della "migrazione" più ampia e significativa. Alla fine del IV secolo i Romani compresero che, più che combatterli, sarebbe stato utile stringere con loro patti di alleanza, usandoli come baluardo contro altre tribù. Il re dei Visigoti Alarico entrò così, insieme ai suoi, al servizio dell'impero e sfruttò abilmente per i suoi scopi le divisioni tra la pars Occidentis e la pars Orientis, sia con le armi sia con la diplomazia ricattatoria che prevedeva elevati compensi per rinunciare a ulteriori invasioni. Il suo obiettivo finale era ambizioso: entrare nel gruppo dirigente dell'esercito romano per assumere incarichi prestigiosi e – forse – candidarsi al trono imperiale. Le cose non andarono in questo modo, perciò Alarico si vide costretto a invadere l'Italia, passando dalle minacce e dai ricatti alle devastazioni, proprio mentre le forze militari romane erano costrette a fronteggiare nuove invasioni barbariche in altri confini dell'impero. La campagna durò dieci anni con alterne vicende, finché nel 410 il re visigoto sferrò l'attacco decisivo al cuore dell'impero: Roma. La città fu saccheggiata per tre giorni, anche se Alarico alternò ferocia e momenti di clemenza, ma il trauma psicologico per l'impero fu di estrema gravità. Lasciata Roma, Alarico si spostò a sud, ma morì presso Cosenza. Il suo popolo si pacificò con l'impero, che non aveva alcuna intenzione di combattere, e ottenne comunque il riconoscimento imperiale per il suo insediamento nella Gallia meridionale e nella penisola iberica.
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