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Tracy Chevalier aggancia la sua storia di emozioni ai temi emergenti dell'epoca, a cui la figura di Blake, come un filosofico deus ex machina, si incarica di dare un senso. (Elisabetta Rasy)
NUOVA EDIZIONE
È il 1792 a Londra, e il traffico è intenso in Hercules Buildings: ventidue case a schiera di mattoni con un piccolo giardino sul davanti e un pub a ciascuna estremità della strada. Nel trambusto di carrozze, cavalli e barrocci, i Kellaway trasportano all’interno del numero 12 le loro masserizie trainate su un carro dalla lontana campagna del Dorsetshire: sedie Windsor e pezzi di tornio, accette, scalpelli, cerchi di legno, gli arnesi utili a Thomas Kellaway, il capofamiglia, per lavorare a Londra come carpentiere nel celebre circo di Philip Astley. È il mese di marzo e il caldo e il frastuono sono insopportabili.
Il baccano sembra però cessare all’improvviso quando i giovani Kellaway, il dodicenne Jem e sua sorella Maisie, scorgono un uomo attraversare la strada. Robusto, la faccia larga, la fronte spaziosa, la carnagione pallida, vestito semplicemente, camicia bianca, giacca e brache nere, e un bizzarro berretto in testa, un bonnet rouge, il copricapo con la coccarda blu, bianca e rossa della rivoluzione francese, l’uomo avanza spedito. È uno degli abitanti più noti degli Hercules Buildings: William Blake, l’artista, il poeta che stampa «strani libretti» e inneggia alle idee che incendiano il paese dall’altra parte della Manica.
Così comincia questo romanzo, che a ritmo incalzante conduce il lettore davanti a tutti i suoi temi: l’amore pericoloso di Maisie per John Astley, gli spettacoli maliardi del Circo Astley, le strade brulicanti della Londra di fine Settecento, con le sue miserie e il suo splendore, e la straordinaria figura di William Blake, l’autore dei Canti dell’innocenza e dell’esperienza, con le sue folgoranti, improvvise apparizioni.
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