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Il Vesuvio nella Storia naturale di Plinio il Vecchio è un’innocente montagna coperta di vigneti, bagnata dalle acque del fiume Sarno e visibile da Pompei. È una curiosa ironia della sorte che l’estensore dell’unica enciclopedia del mondo classico sopravvissuta fino a noi definisse così il vulcano che sarebbe stato responsabile della sua morte, nel 79 d.C. Allarmato da una nube «insolita per vastità ed aspetto», Plinio, di stanza a Miseno con la flotta imperiale di cui è ammiraglio, si mette in mare per osservare più da vicino il fenomeno. E per soccorrere i fuggiaschi, tempestati dalla pioggia di cenere e pomici e intossicati dai gas sprigionati dall’eruzione. Curiosità scientifica e senso del dovere lo spingono con la stessa intensità. Intanto, suo nipote lo aspetta a casa, scrivendo e lavorando, come lo zio gli ha insegnato. Ma Plinio il Vecchio non tornerà mai, e il Giovane vivrà il resto della sua esistenza perpetuando il ricordo e l’esempio dello zio che lo aveva allevato. Descrivendo a Tacito, in una delle sue Epistole, le circostanze che ne avevano determinato la morte, ci ha lasciato una preziosissima testimonianza diretta dell’eruzione che distrusse Ercolano e Pompei. Il Giovane, avvocato educato all’eloquenza da Quintiliano e cresciuto nel mito di Cicerone, percorrerà tutti i gradi del cursus honorum, fino al consolato nel 100 d.C. e al governatorato in Bitinia e Ponto nel 111, sotto il principato di Traiano. Non smetterà mai di interrogarsi su «cosa resta» di un uomo dopo la sua morte, cosa si può e si deve consegnare a futura memoria, dell’esperienza personale e di quella di chi ha compiuto cose degne di essere raccontate. Attraverso le vite di Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane, intrecciate in una doppia biografia, Daisy Dunn ci guida con mano sicura al cuore della Roma imperiale. Non solo nei suoi aspetti storici e politici, di costume e vita materiale, ma anche, e più profondamente, nel cosmo morale e ideale in cui si inscrive la parabola di due testimoni d’eccezione.
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