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Dal 1973 al 2009, un periodo segnato dall’ascesa della razionalità del mercato e del neoliberalismo, la popolazione carceraria americana è passata da meno di 200.000 a più di 2 milioni di persone entro il 2002 e, nel 2008, a oltre l’1% della popolazione adulta: il tasso più alto al mondo, cinque volte quello dell’Inghilterra e dodici volte quello del Giappone. Dati inconfutabili, che spingono inevitabilmente a chiedersi se vi sia una connessione tra questa espansione della sfera penale e l’affermazione del neoliberalismo e della sua incontrastata fede nel libero mercato. Per appurare la realtà di questa connessione, questo libro avanza un’affascinante ricostruzione del rapporto esistente tra l’idea di “ordine naturale” del mercato e la svolta punitiva della cosiddetta “penalità neoliberale”. Una ricostruzione che passa innanzi tutto per una genealogia del concetto di “ordine naturale”. Harcourt mostra come questo concetto non si debba affatto a Hayek e ai teorici del neoliberalismo, ma risalga alla riflessione dei fisiocratici francesi del Settecento. È al fisiocratico Quesnay che si deve l’edificazione del mito di un ordine spontaneo del mercato in cui lo Stato non deve intervenire, pena il disordine e l’asfissia delle regolamentazioni. È a Quesnay che si deve anche una ridefinizione del dispotismo giuridico settecentesco in cui, tolta allo Stato ogni possibilità di intervento nell’economia, all’arte del governo non resta altro che la sfera della sanzione penale. Vecchi miti che riappaiono poi identici nelle «tecnologie governative liberali avanzate» degli anni Settanta con il trionfo del liberismo della Scuola di Chicago e l’idea, comune tanto alla destra quanto alla sinistra degli schieramenti politici, che governare non sia altro ormai che «governare attraverso il crimine» (Jonathan Simon). Harcourt non si limita, tuttavia, alla genealogia del mito del libero mercato, ma mostra come e perché questo concetto sia, appunto, un mito. I fisiocratici volevano sottrarre i mercati parigini della metà del Settecento all’intervento del governo. Al contrario, il Board of Trade di Chicago o la Borsa di New York appaiono oggi come il paradigma stesso del libero mercato nel mondo occidentale. Nulla di più irreale. Gli orari di apertura e chiusura, l’identità dei trader e degli acquirenti, i mezzi di consegna, i controlli sulle variazioni dei prezzi, persino il prezzo stesso del denaro, la merce più importante di tutte, tutti gli aspetti del trading sui mercati sono regolamentati e, proprio come quelli parigini del Settecento, attentamente sorvegliati. L’ordine spontaneo del mercato è, in realtà, per Harcourt, un ordine artificiale, una “riregolamentazione” in cui la proclamata astensione statale nella sfera economica, combinata con un effettivo intervento statale nella sfera criminale, è destinata, sin dalle origini, a produrre devastanti conseguenze sociali. «L’illusione del libero mercato è un libro ben scritto che affronta due argomenti di grande significato contemporaneo: la concezione del mercato come “libero” e “naturale” e l’espansione del sistema penale americano». Alice Ristroph, Seton Hall University «Bernard Harcourt non ha mai avuto un pensiero banale, o fornito un’argomentazione che non provochi o coinvolga o delizi o illumini – o faccia tutte queste cose contemporaneamente». Malcolm Gladwell
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