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Il trionfo della morte, apparso prima a puntate sulla “Tribuna illustrata” e su “Il mattino” e poi pubblicato in volume nel 1894, chiude il cosiddetto ciclo dei «Romanzi della Rosa» iniziato con Il piacere (1889) e proseguito con L’innocente (1892). È un testo fortemente influenzato dall’estetica wagneriana e dalle teorie superomistiche di Nietzsche. L’opera più che dalla trama appare sorretta dalla tensione psicologica e sentimentale che segna il rapporto tra il protagonista, Giorgio Aurispa (alter ego di D’Annunzio e ideale erede dell’Andrea Sperelli de Il piacere) e la sua amante Ippolita Sanzio, figura dotata di una grande e distruttrice carica erotica e identificabile con Barbara Leoni, compagna per alcuni anni dello scrittore. Da queste pagine emerge chiara la visione decadente e pessimista che della vita ha D’Annunzio. Il suo è infatti un “eroe” malato, debole, amante del bello ma irrimediabilmente chiuso in se stesso e per il quale solo nel suicidio è possibile trovare una via d’uscita al mal di vivere che lo avvince. È, dunque, un superuomo in perenne crisi, affascinato dalla morte, alla continua e infruttuosa ricerca della perfezione, dell’autosufficienza. Il romanzo, infine, articolato in sei parti (libri), presenta una lunga digressione ambientata in Abruzzo, ricca di descrizioni sul paesaggio e il folklore locali e che, ovviamente, rafforza nella mente del lettore l’idea del binomio Aurispa-D’Annunzio, entrambi intenti a fare della loro esistenza un’opera d’arte.
Gabriele D’Annunzio, principe di Montenevoso, nasce a Pescara il 12 marzo 1863 ed è senza dubbio uno degli intellettuali più importanti del primo ’900. Scrittore e poeta di rara sensibilità affiancò all’attività culturale la vita politica e militare. Conosciuto come il “Vate”, cioè il profeta, raggiunge la notorietà con il romanzo Il piacere (1889). Tra i massimi esponenti del decadentismo influenzò notevolmente anche la vita politica e civile italiana, finendo tra l’altro per anticipare attraverso la famosa impresa di Fiume il rapporto fra il “capo” e la massa, tipico del successivo fascismo; celebri in tal senso restano i suoi discorsi. Muore a Gardone Riviera il primo marzo 1938.
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