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In un Paese come il Messico, straziato dalla povertà e situato in posizione strategica fra i campi di marijuana del Sudamerica e il ricco mercato statunitense della droga, per molte famiglie contadine il mondo del narcotraffico è spesso l'unico mezzo per sopravvivere. I figli dei campesinos vi entrano in contatto da bambini, perché le loro piccole mani sono «perfette» per la raccolta di cannabis, coca e oppio, e per l'incisione dei papaveri da cui far sgorgare la goma, ossia l'eroina. E chi di loro sopravvive agli stenti, all'avvelenamento da pesticidi o alle insolazioni cresce avendo come unico modello vincente il Narcos, ricco, violento e spaccone. Anabel Hernández, giornalista messicana nota per le sue inchieste coraggiose e scomode che da anni la costringono a vivere sotto scorta, era partita proprio da un'indagine sul lavoro minorile nelle piantagioni. Poi, a mano a mano che si addentrava negli sperduti villaggi della Sierra Madre, nel Nord del Paese, affrontando un viaggio pericoloso e pieno di incognite nel regno dei narcotrafficanti, si è trovata a fare i conti con una realtà ben più drammatica e sconvolgente: i complessi rapporti tra i vari cartelli che gestiscono il traffico degli stupefacenti sono sfociati in una vera e propria faida a carattere «mafioso», una guerra feroce che in soli sei anni ha fatto sessantamila morti e di fronte alla quale le autorità sembrano assolutamente impotenti. Salvo scoprire - ed è questa la verità più agghiacciante - il grado inimmaginabile di complicità e collusione raggiunto da politici e istituzioni, fino ai più alti organi dello Stato. Intervistando centinaia di persone, analizzando una formidabile quantità di documenti e conducendo lunghe e laboriose ricerche sul campo, l'autrice è riuscita non solo a raccogliere moltissimi particolari inediti sui maggiori boss del traffico internazionale di droga, di ognuno dei quali ci racconta le piccole manie, i vizi segreti e persino il lato più «romantico», ma anche a smascherare i tanti personaggi insospettabili - uomini d'affari, politici, poliziotti e addirittura importanti funzionari pubblici - ben disposti a riciclare il denaro sporco o a garantire l'impunità dei criminali. Questa implacabile denuncia, scrive la Hernández, «è la dimostrazione che i baroni della droga e i loro fedelissimi non sono intoccabili», e sprona la società messicana a non lasciarsi paralizzare dalla paura e a chiedere a gran voce che sia tutelato il suo diritto alla sicurezza. Un perentorio e disperato appello che può e deve essere rivolto ai Paesi di ogni parte del mondo. Anabel Hernández è nata nel 1971 a Città del Messico. Riconosciuta a livello internazionale come una delle migliori giornaliste investigative del Messico, specializzata in corruzione e narcotraffico, ha collaborato con i quotidiani «Reforma», «Milenio», «El Universal», «Reporte Indigo» e attualmente collabora come freelance per «Reforma» e per la rivista «Proceso». È autrice di diversi libri, tra cui La familia presidencial, Fin de fiesta en Los Pinos, Los cómplices del presidente e México en llamas. Nel 2012 le è stato assegnato il Golden Pen of Freedom, prestigioso premio riconosciuto a personalità o organizzazioni meritevoli di aver contribuito alla difesa della libertà di stampa. Il 2 maggio 2014, l'organizzazione Reporters sans frontières l'ha inserita nella top 100 degli eroi dell'informazione nel mondo. «Anabel Hernández è una giornalista che non perde mai il punto focale della sua osservazione. A lei interessa dimostrare come sia stato possibile che una delle più grandi democrazie d'America come quella messicana sia diventata una narco-democrazia.» Roberto Saviano
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