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Durante la Seconda guerra mondiale, un intero quartiere della città di Treviso viene distrutto da una bomba e quattro ragazzi si ritrovano sulla strada, senza casa, senza parenti, senza protezione. Comincia per loro una dura lotta per sopravvivere senza perdere la speranza. Giuseppe Berto scrisse Il cielo è rosso mentre era prigioniero nel campo di concentramento di Hereford, in Texas. Terminata la guerra, lo scrittore tornò nella natale Mogliano Veneto ed ebbe la possibilità di sottoporre il suo lavoro a Giovanni Comisso, che si fece tramite con Longanesi, indirizzando il plico al numero 5 di via Boschetto a Milano. Era l’indirizzo sbagliato. Perduta la pazienza di attendere ancora una risposta, Berto decise di recarsi personalmente dall’editore, scoprendo così che gli uffici di Longanesi erano in realtà in via Borghetto. Da quel viaggio nel capoluogo lombardo nasce il libro: Indro Montanelli stava salendo le scale per andare dall’editore quando per poco non venne travolto dall’usciere. Berto aveva appena consegnato il dattiloscritto e se n’era andato: l’usciere doveva rincorrerlo perché nel frattempo Longanesi aveva cominciato a leggere il romanzo restandone folgorato: «Curvo su un voluminoso manoscritto su cui teneva minacciosamente librato un paio di forbici, scrive Montanelli, senza dirmi cos’era e chi era, via via che finiva di leggere una cartella me la passava. Dopo un’ora di questo esercizio mi chiede che cosa ne pensavo. “Un romanzo sulla Resistenza. Ne abbiamo tutti le scatole piene”. “E invece è un colpo” replicò Longanesi, “parli di Resistenza, ma questo giovanotto ha il vantaggio di averla descritta senza avervi mai partecipato, anzi, senza averla nemmeno vista”».
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