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Nell’aprile del 1621 a Selamon, un villaggio nell’arcipelago delle Banda, una spruzzata di minuscole isole perse tra l’Oceano Indiano e il Pacifico, un banale incidente – una lampada schiantatasi al suolo nella bale-bale, la sala riunioni requisita per sé e per i suoi da Martijn Sonck, funzionario olandese della Compagnia delle Indie orientali – innescò uno dei crimini piú efferati che la storia del colonialismo ricordi. Sonck aveva ricevuto l’ordine di distruggere il villaggio ed eliminare i suoi abitanti. Aveva, però, i nervi a fior di pelle poiché aveva percepito nell’apparente acquiescenza dei nativi un rabbioso fermento. Quando la lampada cadde, il suo nervosismo si mutò in panico. Lui e i suoi consiglieri afferrarono le armi e cominciarono a sparare a casaccio. I bandanesi, abitanti dell’unico luogo del pianeta dove cresce l’albero della noce moscata, una delle spezie di cui le grandi potenze coloniali si contendevano il monopolio commerciale, furono massacrati, annientati senza pietà. Nelle pagine di Amitav Ghosh, questa feroce storia di conquista e sfruttamento – dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura – assurge a parabola della furia devastatrice del colonialismo occidentale e delle sue irreversibili conseguenze fino ai giorni nostri. Come in tante situazioni analoghe, il genocidio dei bandanesi cancellò dalla faccia della terra anche la loro tradizione di armonioso connubio con la natura. Se oggi il nostro futuro come specie è in pericolo, avverte Ghosh, le cause vanno ricercate a partire dalla scoperta del Nuovo Mondo e dall’apertura delle rotte attraverso l’Oceano Indiano. L’odierna crisi climatica, demografica e sociale non è, infatti, estranea all’ordine geopolitico inaugurato dai colonizzatori del Primo mondo, alla visione meccanicistica delle terre di conquista in cui la natura esiste solo in quanto risorsa da sfruttare e non come entità viva, autonoma e densa di significato; all’assoggettamento indiscriminato di «umani selvaggi» e di «non umani» come alberi, animali, paesaggi. Nella potente narrazione di Ghosh, i drammi del nostro presente globalizzato – migrazioni, siccità, pandemia, guerre, emergenza energetica – si ricongiungono cosí a episodi soltanto temporalmente remoti, in realtà cosí affini nella loro furia devastatrice che la maledizione della noce moscata non è affatto lontana da noi. «Raccontando la storia di un popolo massacrato per colpa di un albero, Ghosh porta avanti una potente battaglia personale, in cui il suo talento narrativo gioca un ruolo essenziale». The Guardian «Illuminante». The New Yorker
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