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“Il nulla abbonda, il tempo scarseggia.” Così inizia Vuoto, nulla vacuità, con una brevissima sentenza che ha tutto il sapore di un adagio erasmiano, capace, con brevi e sicuri tratteggi, di dar forma a un quadro enigmatico, che lascia intendere una carenza. È del nulla che si parlerà, e la storia più recente della filosofia eccede di ogni genere di nulla – dallo zero di Alain Badiou, al Meno di niente di Slavoj Žižek o a certe forme nichiliste del realismo speculativo, per citarne alcuni. Ma c’è un nulla al quale non era ancora stata riconosciuta piena dignità nel dibattito filosofico, un’idea alla quale non era stato permesso di mettersi in un dialogo alla pari con le categorie più importanti del contemporaneo. Si tratta del nulla, – o meglio del vuoto, o ancora meglio della vacuità –, come categoria essenziale del buddhismo. Per teorici critici e filosofi radicali, la religione è da sempre oggetto conteso di riflessioni. Se, però, da una parte le radici cristiane del pensiero occidentale sono state prese in analisi dal pensiero filosofico di matrice europea e della teoria critica, dall’altra il buddhismo, nonostante sia praticato ormai da più di un secolo, non era mai stato preso in considerazione per rileggere la dimensione politica occidentale. Una sorprendente mancanza, data la portata globale di questa tradizione religiosa e le sue evidenti affinità con gran parte della filosofia continentale. I contributi qui presentati rappresentano il tentativo di colmare questa lacuna. Boon, Cazdyn e Morton, i tre filosofi autori dei saggi presentati in questo volume, si impegnano in un serio confronto, più unico che raro, tra il pensiero buddhista, la teoria politica e la filosofia critica. Attraverso un’elaborazione del vuoto nelle tradizioni critiche e buddhiste; un esame del problema della prassi nel buddhismo, nel marxismo e nella psicoanalisi; e la teorizzazione di una presunta “Buddhaphobia” radicata nelle ansie moderne sul nulla, questi tre saggi invitano a sfatare convinzioni, a comprendere le possibili ragioni per cui il buddhismo è stato considerato “un ismo tra gli ismi”, a riconoscere in maniera sincera e diretta che forse la filosofia occidentale è ancora troppo a suo agio con i dualismi, aprendo così nuovi spazi in cui i nuclei radicali del buddhismo e della teoria critica si rinnovano e si rivelano.
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