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Ritrovare i legami con gli altri e con il mondo: un'ipotesi rivoluzionaria per uscire dalla depressione
Come milioni di persone, Johann Hari ha iniziato giovanissimo ad assumere farmaci per curare la depressione; come milioni di persone ha dovuto arrendersi al fatto che, nella maggior parte dei casi, i farmaci non la curano affatto. La spiegazione «canonica» - che riduce a uno squilibrio nella chimica cerebrale una delle più micidiali, invalidanti patologie del nostro tempo - non bastava a questo giornalista d'inchiesta, specializzato in scienze sociali, che ha intrapreso un viaggio in tutto il mondo per intervistare studiosi di punta, ricercatori, medici e psicologi. Lo scenario che ne è emerso, e che si spalanca in queste pagine, non è solo una diagnosi, ma una sfida: alla scienza, alla società e a noi stessi. Depressione e ansia sono perlopiù l'espressione di un disagio psicologico e sociale innescato da vicende personali e aggravato dalla cultura dell'individualismo, della competizione, dell'incertezza economica, del predominio delle cose sui valori. Per cercare di guarire, allora, bisogna riprendere contatto con tutto ciò che stiamo perdendo o abbiamo perduto: dalle nostre fragilità al senso della comunità, dal rapporto con la natura alla ricerca di un lavoro appagante e di ideali condivisi.
Come racconta l'autore, esempi tanto commoventi quanto entusiasmanti di questa rivoluzione necessaria ci sono già, e dimostrano anche a chi non soffre di depressione e di ansia perché la guarigione sia così importante: a beneficiarne sarà infatti, come ha sottolineato Naomi Klein, «il mondo intero».
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