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«Una storia di quotidiano, meraviglioso e normalissimo amore.»
ttl-La Stampa
Gina è madre e nonna, è stata moglie, figlia e sorella; adesso ha ottant’anni, la sua storia è quella di una vita tra sacrifici e lavoro, la famiglia, la casa. Un giorno telefona a uno dei suoi figli e gli dice di essere in un posto dove invece non è, in una casa che non riconosce, e che invece è proprio casa sua. Per Gina ha inizio un’altra storia che lei non sarà mai in grado di raccontare e di cui non rimarrà traccia tra le foto di famiglia. I capitoli di questa storia sono quelli noti ai parenti delle persone colpite da demenza senile, impietosamente registrati dai referti medici e indagati dalle pubblicazioni scientifiche: resoconti di una progressiva sparizione, come se la malattia prendesse il posto della persona, divorandola. E invece no, la persona non sparisce: nel racconto di Marco Aime, Gina – sua madre – è presente più che mai, non è l’ombra o la nostalgia di quella che era, e la sua nuova storia può e merita di essere raccontata. Aime lo fa per Gina, per sé, per noi, con uno sguardo che osserva senza giudicare, un’attitudine vicina alla contemplazione e quindi a una più alta dimensione di consapevolezza, con il rispetto, la pietas antica e nello stesso tempo modernissima dell’accettazione. Solo a poche pagine dall’epilogo, quando la tenerezza del corpo, di un abbraccio, fa scattare un’ultima volta la scintilla del contatto con sua madre, la voce del figlio affiora per dire che «è solo un attimo, però ti riempie il cuore». Un attimo e Gina è di nuovo lontana, «un fiocco leggero che il vento accompagna».
«Un figlio raccoglie la memoria della madre mentre si sbriciola e si ritrova tra le mani l’indimenticabile pienezza della vita».
Enzo Bianchi
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