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«Tutto è in prestito» recita un adagio finlandese sull’inafferrabilità della vita. Ma è proprio il bisogno di capire se stesso e la propria inquietudine a indurre Wiktor Skrake, incallito scapolo quarantenne di Helsinki, pubblicitario di successo e fondista, ad abbandonare tutto per scavare nel passato della sua famiglia sulle tracce di quella maledizione o vocazione al fallimento che sembra marchiarla. Si riannodano così i fili di una saga che abbraccia tre generazioni e un caleidoscopio di avventure tragicomiche, attraverso un secolo di storia finlandese e di ferite mai rimarginate. Dal misterioso nonno Bruno, parvenu conservatore segnato dalle esperienze inconfessabili vissute in guerra, allo zio Leo, idealista eclettico e sognatore, armato di una cultura enciclopedica e di una fede altrettanto salda negli alieni, al papà Werner, campione di lancio del martello e filosofo della pesca alla trota, fanatico di Elvis Presley e Jurij Gagarin, dotato di talenti e di una genialità tutta sua quanto della capacità di realizzare i propri sogni tramutandoli in rovinose catastrofi. È in lui che la vena di ostinazione e smodatezza degli Skrake si esprime in tutta la sua carica nefasta: un saggio-folle annoiato dalla contemporaneità che nel capitalismo rampante del dopoguerra sprofonda nelle sue passioni senza curarsi del mondo, un ossessivo in perenne lotta contro un destino indomabile e beffardo, preda dell’inguaribile solitudine che ha trasmesso anche al figlio. Intenso, ammaliante, spiazzante, La sciagura di chiamarsi Skrake è il ritratto poetico di un eroico fallito che sembra personificare tutti i paradossi della condizione umana, è un’indagine originale sulla famiglia, le radici, e sulla storia che «è solo una fiaba crudele e irresponsabile» a cui siamo noi a dover dare un senso.
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