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La mia Babele

La mia Babele

Una nascita rocambolesca, un battesimo in articulo mortis che gli regala almeno tre nomi, un’infanzia da predestinato alla gloria in quanto figlio unico, un difficile apprendistato da «sardoparlante» (per di più con gli occhiali) nella scuola di lingua italiana, una precoce lettura del Conte di Montecristo senza sapere cosa fosse un abate... La storia del protagonista di questo libro, che forse ne è anche l’autore, è segnata da un’incessante lotta con l’angelo, e l’angelo è il linguaggio. Inutile stupirsi se, dopo un breve e infelice passaggio a Medicina, la scelta sarà laurearsi in Italianistica, in una Bologna illuminata dalla predicazione laica di Ezio Raimondi, per poi diventare scrittore, per di più tradotto all’estero. Si aprono così le porte di una Babele popolata di esseri strani, i traduttori, il cui compito preciso sembra essere travisare ciò che scrivi, ma nel modo giusto: perché tradurre significa tradire, per far vivere il testo non solo in un’altra lingua ma in un’altra cultura. E il testo, si suppone, ringrazia; ma l’autore? La vita diventa letteratura, che a sua volta innerva la vita: accade nelle pagine di questo memoir letterario in cui si rincorrono ricordi d’infanzia e storia sociale, incontri e autoanalisi, avventure in terra italiana e straniera e riflessioni attraverso le lingue, non solo d’Europa. In un racconto che per esser vero non è tuttavia meno apocrifo, Marcello Fois conduce il lettore all’appuntamento più importante, quello con la parola giusta, capace di illuminare una pagina come una vita.

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