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Considerato perduto, questo straordinario ritratto di Luchino Visconti, steso da Giovanni Testori, è inaspettatamente riemerso. Era stato elaborato nei primi mesi del 1972, dopo “Morte a Venezia” e mentre era in corso la lavorazione di "Ludwig”. Di lì a poco una memorabile rottura tra i due con la decisione, dichiarata (ma evidentemente non portata a termine), di distruggere il manoscritto. “Luchino” costituisce un profilo, a più strati, di una delle grandi personalità della cultura del XX secolo, osservata da chi si era trovato in più occasioni a collaborare con lui (dalla sceneggiatura di “Rocco e i suoi fratelli” alle messinscene di “L’Arialda” e “La Monaca di Monza”). Testori fa venire a galla tratti caratteriali, esigenze espressive, modi di vivere e di amare di Visconti, nel tentativo di centrarne quella che una volta si sarebbe chiamata la “poetica”. Nella strabordante letteratura che riguarda il regista milanese questa voce si staglia per rigore di analisi e lucidità di sintesi. Il libro, che doveva uscire verosimilmente da Feltrinelli nel 1972, è accompagnato da un saggio introduttivo, una postfazione e da note di commento, stese da Giovanni Agosti, che, da un lato, aspirano a chiarire le molteplici allusioni disseminate nel testo e, dall’altro, si pongono come punti di partenza o di verifica per indagini sulle interferenze tra i due autori, Visconti e Testori, e sui loro mondi, contigui ma distanti, con affondi sulle case, le collezioni d’arte, le amicizie... Completano il volume molte immagini inconsuete.
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