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“E se confessi a qualcuno quanto ti danno, sveli il tuo valore. La busta paga è una specie di giudizio universale.” Michele Garbo è il manager di una grande azienda di carte di credito, la Transpay. Lavorare per una multinazionale ha i suoi vantaggi: stipendio alto, macchina aziendale di lusso, ricchi benefit. Ma il tempo per se stessi è ridotto al minimo, e i ritmi per produrre sono massacranti. Nella pressa di incombenze e responsabilità, con l’ossessione di conquistarsi la fiducia del capo, Michele senza rendersene conto accetta sempre più il suo ruolo di “dipendente”. Ma seppure qualche successo lavorativo lo gratifica, si trova presto a dover fare i conti con un matrimonio finito, una figlia piccola che sta con la madre in Brasile e una nuova fidanzata che finisce presto per lasciarlo. Così abbandona la sua casa, va a vivere in un albergo e attraversa le notti notti girando Roma a bordo della sua amata Audi. Frequenta locali a luci rosse e prostitute di ogni genere, fino al giorno in cui un passo falso fa crollare tutto. Disincantato, crudo e malinconico, Il dipendente è un romanzo che prende a morsi il mito della carriera e scava nel buio più cupo di una società che ha messo il profitto al primo posto. C’è rabbia, nel romanzo di Nata, che a trent’anni dalla pubblicazione non ha perso nulla del suo amaro senso di rivolta contro un mondo che marchia i suoi abitanti sulla base del potere e del denaro che hanno, o non hanno.
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