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Il cavallo in biblioteca è l’ultimo libro di Federico Fellini: inedito. Contiene i divertentissimi spot per la lettura che scrisse su commissione di un consorzio di editori rimasto fantasma, e che depositò nel marzo 1988 alla SIAE, senza poi realizzarli, come invece accadde per la pubblicità di Campari, Barilla e della Banca di Roma. Ritrovati nell’archivio del Fellini Museum di Rimini, sono diversissimi tra loro per ambienti, invenzioni, paradossi, umorismo, sarcasmo e parodia sociale: come la polemica sull’invasività della televisione, dove Fellini ingaggia un duello scatenato e impari con Berlusconi, che nei suoi canali privati interrompe i film con la pubblicità. «Non si interrompe un’emozione» è il suo slogan. Fellini sfodera le proprie arti/armi: la fantasticheria surreale e fantascientifica, la difesa dell’avventura, della magia, dell’immaginazione e del sapere. Sono quadri memorabili. Ritraggono le famiglie italiane, gli stereotipi, il quotidiano, ma anche i grandi archetipi legati ai personaggi romanzeschi, ai libri, alle biblioteche, alla sapienza autentica. Veri e propri apologhi che rispecchiano la sua invenzione imprevedibile. Appunto quella del cavallo in biblioteca, che dà il titolo al libro, ed è per Fellini il simbolo della libertà e della sua bellezza. Il cavallo discende da Pegaso alato, il simbolo dell’immaginazione. Non è ciò che i film e i libri trasmettono? Rosita Copioli introduce i testi, li trascrive per la comodità dei lettori, ma li presenta anche nei dattiloscritti originali. Li commenta secondo lo stile de Gli occhi di Fellini (Vallecchi 2020), che Pietro Citati definì «un libro splendido, quasi unico nella saggistica italiana: sottile, profondo, enigmatico». Nello scritto che qui si pubblica, Citati notò, di quegli «occhi», ciò che appare scorrere in questi spot: «ogni sfumatura dell’anima umana, forse ogni sentimento animale, perché Fellini apparteneva – io penso – anche all’amabile e terribile regno degli animali». Il cavallo, appunto: in biblioteca.
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