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C’era una volta un bambino che portava a spasso il suo dolore, se lo portava ovunque. Proprio come il suo padrone, il suo dolore era un cucciolo, “aveva il pelo corto e gli occhi che chiedevano tutto”. Il bambino se ne prende cura, lo nutre come un cucciolo di cane. Lo accompagna ai margini del paese, nel bosco, lo porta con sé a scuola, sotto la tavola quando mangia, ed è insieme a lui quando conosce la bambina sottile che vive oltre la ferrovia, la prima che accarezza il suo dolore. Andrea Bajani scrive con la purezza della favola una storia per adulti commovente e vera, delicata e sotterraneamente violenta. Un bene al mondo – come l’autore racconta nella premessa –, oltre a essere una delle opere italiane più felici e potenti della nostra recente letteratura, rappresenta un punto di svolta nella scrittura di Bajani. Emanuele Trevi scrive con acume a proposito dell’architettura del romanzo e dei personaggi: “La metafora procede identica per tutto il libro. Ma via via che ci inoltriamo nelle avventure di questa bellissima coppia di esseri viventi, un bambino qualunque e il suo dolore ancora cucciolo, noi sempre più ci dimentichiamo di cercare un significato a questa metafora, perché è lei ad aver divorato tutti i suoi possibili significati. Tutti noi ereditiamo un dolore e ci prendiamo cura di lui e in qualche modo questo dolore è anche un cane, e non è più possibile stabilire esattamente dove finisce il termine astratto (dolore) e dove inizia quello concreto (cane). Una metafora libera dal suo significato, ci vuole forse suggerire Bajani, è una candela nella notte”.
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