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«È tutta esperienza, dispiace solo che debba essercene cosí tanta» scriveva il padre di Martin Amis a un amico. E l'esperienza può depositarsi lentamente, come la sabbia di una clessidra, o precipitare tutta insieme, mettendoci di fronte al dolore, all'amarezza e alla gioia nel giro di un paio d'anni. Un autoritratto lucido e commovente, la storia di una vita e insieme l'invenzione di un modo nuovo di raccontarla.
Come un funambolo arrivato alla sfida piú importante, Martin Amis tende la corda tra l'esperienza e la memoria e inizia la passeggiata sul vuoto. Le sue evoluzioni raccontano la storia di una vita. «Perché mai dovrei raccontare la storia della mia vita? So che cosa occorre per fare un buon racconto, e alla vita manca quasi tutto: struttura ed equilibrio, forma, completezza, misura». Eppure, tra il 1994 e il 1995 qualcosa è successo, «grandi eventi» hanno trasformato lo scrittore di romanzi e di racconti nell' autore di un'originale, eccentrica autobiografia.
Tragedia e commedia farsesca si sono alternate in quei due anni, vibrando nello spirito e nel corpo come scosse elettriche. La grande saga scandalistica della sua «cosmesi dentaria» americana, nella quale i giornali inglesi si sono scatenati contro di lui come non avevano mai fatto prima d'allora con uno scrittore. La scoperta dei resti della cugina Lucy Partington, scomparsa nel 1973, nella cantina del serial killer Frederick West. La morte del padre Kingsley Amis, scrittore e poeta, a cui lo univa, oltre all'amore filiale, una profonda complicità artistica, capace di superare ogni diversità di veduta. Fu Kingsley a scrivere in una lettera a un amico: «E tutta esperienza, dispiace solo che debba essercene cosi tanta».
Dall'infanzia alla maturità, dunque, dall'innocenza all'esperienza, ma non secondo uno scontato percorso cronologico. Perché la memoria, come una cipolla, si costruisce per successivi strati in torno a un nucleo centrale (e la memoria, come la cipolla, fa piangere). Amis dichiara di volersi abbandonare all'urgenza interiore, o meglio alla dipendenza, che spinge ogni romanziere a scoprire paralleli, inventare collegamenti: il demone dell'analogia. Ma scopre anche una capacità inedita per lui, maestro della narrativa postmoderna, dell'ironia e del grottesco: un'empatia e un calore che danno alla sua prosa, che Saul Bellow definí «elettrica», nuova energia.
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